Sebbene la percentuale delle persone che soffrono la fame sia diminuita negli ultimi anni, il divario tra chi ha il diritto al cibo e chi non ce l’ha continua, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, come dimostra l’ultimo rapporto della Fao: “The state of food insecurity in the world 2012”.
852 milioni di persone (15% della popolazione mondiale) soffrono la fame ed è incredibile come nei Paesi industrializzati si continui a crescere tecnologicamente, mentre il resto del mondo deve fare i conti con la scarsità di beni primari.
La nostra terra produce già abbastanza per una popolazione in continua crescita, il problema è la distribuzione del cibo e la povertà che non consente l’accesso alle risorse. Il paradosso è che mentre in alcune Nazioni si combatte l’obesità, in altre si fronteggia il sottopeso. C’è, dunque, una cattiva distribuzione.
Il problema si risolve puntando sulla crescita del settore agricolo e sull’autoproduzione, coinvolgendo i piccoli contadini locali, le donne, insegnando loro come sfruttare al massimo le proprietà del loro terreno. Tanti progetti di solidarietà sono stati realizzati ma se continuiamo a fornire solo cibo, senza semi organici che germoglino e mettano radici, la questione resterà sempre irrisolta.
Non a caso qualche tempo fa l’Unep (Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) nel rapporto sulla crisi alimentare ha dichiarato che l’agricoltura biologica è fondamentale per combattere la fame nel mondo perché, a differenza degli OGM esportati nei Paesi in via di sviluppo per soddisfare una domanda che va in altra direzione, combatte gli sprechi e preserva le qualità naturali dei terreni agricoli e la loro fertilità. La catena di produzione e distribuzione alimentare deve diventare più efficiente e il consumatore deve comprare solo quello che usa, in modo che il cibo non diventi un rifiuto nei Paesi industrializzati e una rarità per quelli in via di sviluppo.